Metrica latina 2. L’esametro dattilico
Un verso latino dunque è formato, come si è detto, da una sequenza ordinata di sillabe lunghe e brevi. Il verso più comune, quello usato nella poesia epica e in vari altri generi letterari, è l’esametro dattilico, così detto perché è formato da una sequenza di sei metri (altrimenti detti “piedi”) dattilici.
“Dattilo” è un termine derivato da una parola greca che significa “dito”; e proprio come un dito è composto da tre falangi, così un piede dattilico è composto da tre sillabe, una lunga e due brevi:
– ∪∪
Questo nella sua forma “pura”; ma le due brevi possono essere sostituite da una lunga, e quindi il piede dattilico può assumere la forma
– –
In questo caso, il piede è detto “spondaico”. La presenza di piedi spondaici di solito contribuisce a dare al verso un andamento lento e solenne.
L’esametro dattilico è quindi costituito da una sequenza di sei piedi dattilici o spondaici (nello schema qui sotto per semplicità è indicata sempre la forma dattilica del piede, – ∪∪; si tenga presente che le due brevi possono sempre essere sostituite da una lunga, cosicché il piede assume la forma – –). L’ultimo piede però è anomalo e costituito non da tre ma da due sillabe, l’ultima delle quali ha una durata libera: può essere cioè sia breve che lunga, e viene indicata con il simbolo musicale della “corona”:
1– ∪∪ 2– ∪∪ 3– ∪∪ 4– ∪∪ 5– ∪∪ 6– 𝄐
La sostituzione delle due brevi con una lunga (quindi del dattilo con uno spondeo) è ammessa anche nel quinto piede, ma è più rara; quando essa si verifica, l’intero esametro viene definito “spondaico”. Il motivo di questa tendenziale fissità degli ultimi due piedi è che essi danno in certo modo una “cadenza” all’esametro, ne identificano la fine. Senza questa cadenza, la poesia esametrica avrebbe un andamento molto più monotono, e la fine del verso non sarebbe marcata in alcun modo.
Nell’italiano moderno ci sarebbe difficile o impossibile pronunciare un verso come lo pronunciavano i romani, facendo “sentire” l’alternarsi di sillabe lunghe e brevi. La convenzione che si adotta di solito è quella di porre un accento tonico (l’accento normalmente presente nelle parole italiane) sulla prima lunga di ogni piede. Graficamente, il risultato è quindi:
1–́ ∪∪ 2–́ ∪∪ 3–́ ∪∪ 4–́ ∪∪ 5–́ ∪∪ 6–́ 𝄐
Nonostante le apparenze, è perfettamente inutile cercare di mettersi in testa un ritmo musicale (qualcosa come 1TA ta ta 2TA ta ta 3TA ta ta 4TA ta ta 5TA ta ta 6TA ta), magari battendolo con le mani, e cercare di applicarlo al verso latino: se non si analizza correttamente il verso, infatti, non sappiamo a priori se ciascun piede è dattilico (quindi con ritmo ternario, TA ta ta) o spondaico (Ta ta). L’unico modo per leggere correttamente un esametro è individuare la prima sillaba lunga di ogni piede (anche detta “tempo forte”)e porvi l’accento, indipendentemente da come si accenterebbe la parola latina in prosa.
Questo verso tratto dalle Bucoliche di Virgilio, se letto usando l’accento della prosa, suonerebbe così:
silvestrem tenui musam meditaris avena
Seguendo le regole della lettura metrica, invece, il risultato è questo:
silvestrem tenui musam meditaris avena
1–́ – 2–́ ∪∪ 3–́ – 4–́ ∪∪ 5–́ ∪∪ 6–́ 𝄐
La differenza è evidente; soltanto negli ultimi due piedi, il quinto e il sesto, gli accenti della prosa coincidono con quelli dell’esametro. Negli altri casi, questa corrispondenza può esserci o meno: di qui la necessità di analizzare la struttura dell’esametro prima di tentarne la lettura.