Paraklausithyron

Paraklausithyron

Lamenti di amanti, fantasmi di filologi


N. Abildgaard (1808) - Tibullo che si lamenta presso la porta dell’amata
N. Abildgaard (1808), Tibullo che si lamenta presso la porta dell’amata

In letteratura, e forse anche nella vita, c’è sempre qualcosa a separare due amanti e a rendere interessanti le loro storie; e qualche volta c’è di mezzo un impedimento fisico, che sia un muro, una porta sbarrata, una finestra chiusa. Davanti a questo ostacolo che gli impedisce di raggiungere o semplicemente di vedere l’oggetto del suo amore l’innamorato si dispera, fantastica, si adira – insomma, sfoga tutte le emozioni che, se maneggiate da un buon poeta, possono generare la migliore poesia d’amore. Non c’è quindi da stupirsi se questa situazione è stata codificata ed esplorata nei modi più diversi nel corso di una storia letteraria lunga molti secoli, ed ha perfino ricevuto un nome: paraklausithyron, un termine greco composto che significa “lamento davanti alla porta” – una porta chiusa, naturalmente. Ma non siamo troppo fiscali, e facciamo rientrare nel genere anche altri tipi di ostacoli.

In letteratura, e forse anche nella vita, c’è sempre qualcosa a separare due amanti e a rendere interessanti le loro storie; e qualche volta c’è di mezzo un impedimento fisico, che sia un muro, una porta sbarrata, una finestra chiusa. Davanti a questo ostacolo che gli impedisce di raggiungere o semplicemente di vedere l’oggetto del suo amore l’innamorato si dispera, fantastica, si adira – insomma, sfoga tutte le emozioni che, se maneggiate da un buon poeta, possono generare la migliore poesia d’amore. Non c’è quindi da stupirsi se questa situazione è stata codificata ed esplorata nei modi più diversi nel corso di una storia letteraria lunga molti secoli, ed ha perfino ricevuto un nome: paraklausithyron, un termine greco composto che significa “lamento davanti alla porta” – una porta chiusa, naturalmente. Ma non siamo troppo fiscali, e facciamo rientrare nel genere anche altri tipi di ostacoli.

Fabrizio de André

Il primo caso che vi presento, in effetti, parla non di una porta ma di una finestra – anzi, parla a una finestra. Si tratta di una canzone tradizionale napoletana, ripresa da vari cantanti come Roberto Murolo, Massimo Ranieri, Angelo Branduardi e altri. La mia versione preferita è di Fabrizio de André. Ecco un frammento del testo:

Fabrizio de André

Fenesta co’ ‘sta nova gelosia
tutta lucente
de centrella d’oro
tu m’annasconne
Nennella bella mia
lassamela vedè
sinnò moro

La finestra, con la sua nuova persiana splendente di chiodini d’oro, è chiusa e preclude all’amante la vista della sua Nennella.

Alcuni epigrammi greci

Prassitele, IV sec. a.C., Venere di Arles (copia romana)
Prassitele, IV sec. a.C., Venere di Arles (copia romana)

Secoli prima, Asclepiade di Samo (IV-III secolo a.C.) aveva offerto una versione più disperata della stessa situazione, nella quale l’ambientazione notturna e invernale rispecchia l’animo del poeta. Il suo epigramma è conservato in Antologia palatina 5.189:

Notte fonda d’inverno, che cala in mezzo alle Pleiadi;
e io passo davanti alla sua porta, fradicio di pioggia,
ferito dalla brama di lei, donna ingannatrice. Non era amore:
Afrodite mi scagliò invece un dardo doloroso di fuoco

Νὺξ μακρὴ καὶ χεῖμα, μέσην δ᾽ ἐπὶ Πλειάδα δύνει,
κἀγὼ πὰρ προθύροις νίσσομαι ὑόμενος,
τρωθεὶς τῆς δολίης κείνης πόθῳ· οὐ γὰρ ἔρωτα
Κύπρις, ἀνιηρὸν δ᾽ ἐκ πυρὸς ἧκε βέλος.

Tra i tanti, si può ricordare anche l’epigramma di Callimaco (Antologia Palatina 5.23.1-2), rivolto ad una ragazza scherzosamente chiamata “Zanzara”:

Dormi, Zanzara, quel sonno che innanzi alla gelida porta
della tua casa fai dormire a me! (trad. Pontani)

Οὕτως ὑπνώσαις, Κωνώπιον, ὡς ἐμὲ ποιεῖς
κοιμᾶσθαι ψυχροῖς τοῖσδε παρὰ προθύροις

L’elegia latina e i muri di Pompei

Il tema, come dicevo, ha avuto immensa fortuna, prima e dopo Asclepiade e Callimaco. Frank Olin Copley nel 1956 ha raccolto molti testi, alcuni rilevanti e altri meno, in un volume dal titolo Exclusus amator, e qui basterà dire che un po’ tutti i gradi poeti latini si sono cimentati col tema, da Plauto a Catullo a Orazio. Poi, naturalmente, lo hanno usato molto soprattutto gli elegiaci. Tibullo ad esempio nel carme 2 del I libro (vv. 7-14) si esibisce in una lunga invettiva contro la porta che gli impedisce incontri adulterini con l’amata Delia:

Dante Gabriel Rossetti (1867), Il ritorno di Tibullo da Delia (particolare)
Dante Gabriel Rossetti (1867), Il ritorno di Tibullo da Delia (particolare)

O porta di un padrone terribile, ti possa colpire la pioggia,
ti possano colpire i fulmini scagliati per comando di Giove.
O porta, apriti ormai, vinta dai miei lamenti, a me solo,
ma non far rumore mentre ti apri furtivamente volgendo il cardine.
E se qualche dura parola la mia follia ti ha lanciato,
perdonami: scendano, supplico, quelle maledizioni sul mio capo.
A te conviene ricordare le molte preghiere che ti ho rivolto,
con voce supplichevole, quando ponevo corone di fiori ai tuoi battenti.

Ianua difficilis domini, te verberet imber,
te Iovis imperio fulmina missa petant.
Ianua, iam pateas uni mihi, victa querelis,
neu furtim verso cardine aperta sones.
Et mala siqua tibi dixit dementia nostra,
ignoscas: capiti sint precor illa meo.
Te meminisse decet, quae plurima voce peregi
supplice, cum posti florida serta darem.

Ma quello che si può ormai definire un luogo comune non resta chiuso nelle biblioteche di letterati aristocratici, e riverbera nelle strade delle città e nelle pareti delle case antiche. Ne troviamo traccia, ad esempio, in vari graffiti da Pompei, che costituiscono una vera e propria antologia poetica popolare. Ci sono sia componimenti originali (anonimi) che citazioni di poeti noti, come Ovidio e Properzio. A questa seconda categoria appartengono due graffiti, catalogati nel volume IV del Corpus Inscriptionum Latinarum con i numeri 1893 e 1894, e che si devono probabilmente alla stessa mano. Il primo è una citazione dagli Amores di Ovidio (1.8.77-78), un’elegia nella quale il poeta consiglia la donna sul comportamento (piuttosto utilitaristico, in verità) da tenere con chi ambisce ad ottenere i suoi favori:

CIL4.1893 e 1894
CIL 4.1893 e 1894

La tua porta sia per lui sorda quando supplica, aperta quando porta regali;
l’amante accolto in casa senta le parole dell’altro chiuso fuori


surda sit oranti tua ianua, laxa ferenti;
audiat exclusi verba receptus amans

Il secondo graffito è una citazione da un distico dello stesso tenore proveniente dalla quinta elegia del IV libro di Properzio (4.5.47-48)

Sveglio sia il portinaio con chi porta doni: ma se uno batte a mani vuote,
continui a dormire sordo presso la porta sprangata

ianitor ad dantis vigilet: si pulsat inanis,
surdus in obductam somniet usque seram.

Sia in Properzio che in Ovidio i distici sono consigli di una mezzana, e giustapponendo le due citazioni l’ignoto graffitaro antico ci sta dando anche una lezione di storia letteraria: è assai probabile infatti – anche se la cronologia relativa delle due opere è incerta – che il poeta degli Amores qui imiti Properzio, in modo semiserio. (v. ad es. Dimundo 2000, 172)

CIL 4.5296

CIL 4.5296
CIL 4.5296

Talvolta i critici moderni si rivelano meno avvertiti di questi ‘letterati di strada’ pompeiani. Ad esempio, sviati dalla grande popolarità del tema del paraklausithyron, tendono a vederne anche dove non ve ne sono. È il caso di un altro componimento anonimo pompeiano, il n. 5296 nel solito IV volume del Corpus Inscriptionum Latinarum. Lo cito solo nella traduzione italiana, condotta su un testo che ho, per vari motivi, ‘aggiustato’ rispetto a quello che si legge sul muro di Pompei – è una storia interessante, ma troppo complessa per parlarne qui; chi lo volesse può approfondire sui testi che cito alla fine.

Oh, se potessi avere le tue braccia
al collo, e baciare teneramente le tue labbra!
Ma vai, fanciulla, e affida al vento la tua gioia:
credimi, fanciulla, incostante è la natura degli uomini.
Spesso, sventurata, vegliavo a notte fonda
tra me e me meditando così: “Molti che prima aveva esaltato,
la sorte poi li ha gettati a terra e schiacciati:
così, appena Venere ha congiunto i corpi degli amanti,
il giorno viene a separarli, e…
paries quid ama

Gli studiosi si sono veramente accaniti su questo testo. Ad esempio, si è voluto oscurare il fatto evidente che chi parla in questi versi è una donna, e c’è chi ha voluto attribuire questi versi a “un ufficialetto sentimentale, che prestava servizio in una delle tre coorti che presidiavano Pompei”. Il destinatario dei versi è pure una donna, ed era prevedibile che moderni autori attenti alle relazioni di genere abbiano fatto di questo testo una testimonianza inequivocabile di amore lesbico – cosa certo possibile, ma da non dare per scontata. E, venendo a ciò che qui ci interessa, c’è chi lo ha considerato un paraklausithyron, un “lamento accanto alla porta”, come i vari testi che abbiamo visto finora. Il fraintendimento è dovuto in parte alla falsa credenza che il graffito si trovasse al di fuori della porta della cosiddetta “casa del dottore”, un’abitazione abbastanza grande e lussuosa di Pompei; ma un attento studio dei documenti rivela che esso si trovava all’interno di un’altra abitazione, nello stesso isolato della casa del dottore ma molto più piccola e povera, la cui porta si apriva su un vicoletto buio. Ora, è quasi inutile dire che un paraklausithyron all’interno di una porta è praticamente un controsenso!

CIL 4.5296
CIL 4.5296

L’unico altro argomento che supporta l’idea del paraklausithyron è quell’enigmatico e incompleto ultimo verso, che ho lasciato non tradotto, dove in effetti si menziona una parete che sembra essere di ostacolo a due amanti. Il problema è che, osservando il graffito ora staccato dal muro e conservato nel Museo archeologico nazionale di Napoli, si capisce subito che questo verso è scritto da una mano diversa, e quindi non faceva parte della poesia ma era una sorta di commento lasciato da qualcun altro. L’idea del paraklausityron quindi proprio non sta in piedi: non era che un fantasma visto da uno studioso, proprio quel Frank Olin Copley che raccoglieva materiale per il suo volume dedicato a questa forma letteraria. Copley poi in realtà non incluse questo carme epigrafico nel suo volume, ma il suo fantasma fu duro a morire: e il graffito rimane ancora noto come “il paraklausithyron di Pompei”.

La cosa curiosa è che Copley non aveva poi torto a vedere in quell’ultimo verso enigmatico un paraklausithyron. Lui non l’aveva capito, ma quelle parole non erano che la citazione rimasta incompiuta di un verso ovidiano (Metamorfosi 4.73):

Thisbe (J.W. Waterhouse, 1909)
Thisbe (J.W. Waterhouse, 1909)

paries, quid amantibus obstas?

Il verso proviene dalla storia di Piramo e Tisbe: due giovani amanti sfortunati, le cui famiglie erano nemiche e che quindi si potevano parlare solo di nascosto, attraverso una fessura nella parete che separava le loro abitazioni. La tragica storia, che per certi versi ricorda un po’ quella di Romeo e Giulietta, sviluppa in effetti anche il tema del paraklausithyron, anche se l’odioso ostacolo che si frappone ai due amanti qui non è una porta ma una parete. Solo, il paraklausithyron non ha nulla a che fare con il graffito pompeiano, che semplicemente parla di due amanti separati dal sorgere del sole. La connessione esisteva soltanto nella mente di chi ha pensato di commentare l’anonimo carme pompeiano citando un verso di Ovidio, facendo un po’ quello che aveva fatto anche chi aveva giustapposto versi di Properzio e Ovidio su di un’altra parete nella città campana. E, come abbiamo visto, questa innocua e per certi versi non del tutto inappropriata attività di un antico abitante di Pompei ha contribuito a dar vita a fantasmi immateriali che infestano gli scritti di tanti filologi moderni (e anche alcuni siti web).

Epilogo

dal film Frozen (Disney, 2013)
dal film Frozen (Disney, 2013)

Questo naturalmente non vuol dire affatto che il paraklausithyron non sia un tema poetico estremamente diffuso e pervasivo; e nemmeno che non sia disponibile a variazioni sul tema, trascendendo i limiti della poesia d’amore e dei rapporti uomo-donna. Per mostrarlo ricordo un’ultima occorrenza del tema, forse un po’ inaspettata. Viene infatti da Frozen, un famoso film di animazione della Disney uscito nel 2013, nella quale una porta è di ostacolo all’affetto tra due sorelle; qui riporto solo un’immagine, ma su Youtube ho ‘citato’ un ampio frammento del film.

Per saperne di più

  • Frank Olin Copley, Exclusus amator: a study in Latin love poetry. Baltimore : American Philological Association, 1956
  • Rosalba Dimundo, L’elegia allo specchio. Studi sul primo libro degli Amores di Ovidio. Bari: Edipuglia, 2000
  • Luca Graverini,Ovidian Graffiti: Love, Genre and Gender on a Wall in Pompeii. A New Study of CIL IV 5296 – CLE 950,  “Incontri di Filologia Classica” 12 (2012-2013), 1-28.
  • Luca Graverini,Further Thoughts on CIL IV, 5296. Textual Problems, Structure, and Gender Issues, “Latomus” 76 (2017), 114-126.
  • Luca Graverini, Ovidio a Pompei, in: Lettori latini e italiani di Ovidio. Atti del Convegno Università di Torino, 9-10 novembre 2017, a c. di F. Bessone e S. Stroppa, Pisa-Roma: Fabrizio Serra ed. 2019, 27-39.

(i miei articoli sono reperibili su https://unisi.academia.edu/lucagraverini)