Come si deve leggere un romanzo
Phantasia, emozioni, curiositas
1. Normativa retorica e distinzioni tra generi letterari
Dione Crisostomo, un retore di età imperiale, afferma che Omero era un poeta non solo perché scriveva in versi, ma anche e forse soprattutto perché sceglieva parole ed espressioni
per incantare e stupire il suo pubblico (Or. 12.67)
Omero, in sostanza, era un maestro nell’incantare, nell’ottenere il coinvolgimento di chi lo ascoltava. Nel trattato Sul Sublime (15.1), lo Pseudo-Longino tratta più diffusamente del rapporto tra poesia e lettori: lo scrittore per lui, nella sua phantasia, crede di vedere con i propri occhi ciò che descrive, e comunica la medesima illusione a chi lo ascolta.
L’idea è molto diffusa. Per Orazio ad esempio (Epist. 2.1.210 ss.) il miglior poeta è quello che, come un mago, sa sedurre il suo animo e fargli provare eccitazione e paura; con i suoi incantesimi gli fa addirittura dimenticare dove si trova per trasportarlo anima e corpo a Tebe o ad Atene, facendogli quasi vivere in prima persona i drammi che lì sono ambientati.
Il teatro soprattutto, e la poesia in genere, sono spazi letterari nei quali l’immaginazione e le emozioni del lettore vengono stimolate in modo particolarmente efficace. Questo naturalmente avviene anche in altri campi, come nella retorica. Ci sono però delle differenze che marcano i confini tra i diversi generi letterari: lo Pseudo-Longino avverte che ciò a cui mirano i poeti è l’ekplexis, lo stupore, mentre il fine dei retori è l’enargeia, la vivacità e la chiarezza (15.2); la phantasia è caratterizzata in poesia dalla tendenza all’esagerazione e al mythos, mentre quella dei retori deve restare ancorata ai dati di fatto e alla verità.
Anche per Quintiliano un retore deve rimanere ancorato a ciò che è verosimile (8.3.70); per lui la mescolanza incontrollata di diversi registri espressivi – linguaggio sublime e umile, arcaico e contemporaneo, poetico e prosastico – potrebbe partorire un mostrosimile a quello che Orazio immagina all’inizio dell’Ars poetica: “se un pittore volesse unire un collo di cavallo a una testa di uomo…” (8.3.59-60).
I confini netti, sia tra le specie animali che tra i generi letterari, sono certamente rassicuranti. Tuttavia, volendo occuparsi di romanzo – un genere letterario che è ormai consuetudine definire ‘misto’ – risulta purtroppo impossibile evitare di imbattersi in qualche mostro, ed è bene imparare a farci i conti fin da subito. In effetti le narrazioni inventate e a carattere mitico, che lo Pseudo-Longino vorrebbe limitare all’ambito della poesia, sono una componente essenziale anche della narrativa antica in prosa.
2. Strategie di controllo
Per prefigurare e condizionare le reazioni emotive del lettore, poeti e narratori ricorrono soprattutto all’esempio. Ogni testo narrativo di una certa ampiezza contiene narrazioni di secondo livello; queste narrazioni hanno di solito un pubblico, e il modo in cui il pubblico interno reagisce al racconto finisce inevitabilmente per anticipare e condizionare le reazioni del pubblico esterno, cioè di noi lettori.
L’idea di una corrispondenza emotiva tra pubblico interno ed esterno di un racconto era già presente nella filologia ellenistica. In Odissea 4.183 ss. Menelao ha appena finito di commemorare Odisseo, creduto morto, e tutti coloro che lo ascoltano scoppiano a piangere. Lo scoliaste nota che
sfruttando brillantemente l’occasione il poeta, dopo aver stimolato al pianto i suoi ascoltatori, trasferisce questa immagine [phantasia] su coloro che ascoltano la commemorazione di Odisseo.
In sostanza, e semplificando un poco, c’è una tendenziale corrispondenza di immagini ed emozioni tra ascoltatori interni e lettori esterni. Vedremo ora come questo schema, messo a frutto già in Omero, venga sfruttato anche nella narrativa più tarda.
3. Apuleio: Lucio come ascoltatore di storie
Il protagonista delle Metamorfosi di Apuleio è un giovane di nome Lucio. All’inizio del romanzo, Lucio ci viene presentato nel ruolo di avido e curioso ascoltatore del racconto di due compagni di viaggio incontrati per caso: un certo Aristomene e un innominato scettico. A differenza di Lucio, disponibile a credere che tutto sia possibile, lo scettico ritiene che quelle di Aristomene siano solo sciocchezze assurde. In sostanza, la conversazione tra Lucio e gli altri due costituisce una sorta di dialogo filosofico su come si deve ascoltare una storia, quanto è bene prestarle fede. Tutto questo non è che una esortazione implicita al lettore perché adotti fin dall’inizio del romanzo una posizione piuttosto estrema ma narratologicamente molto utile: ad una buona storia occorre sempre concedere attenzione e fiducia fino in fondo. Altrimenti, è impossibile apprezzarla.
4. Lucio come personaggio
Verso la fine del libro 1 Lucio comincia ad uscire gradualmente dal ruolo di ascoltatore per diventare (anche) personaggio e attore; certi tratti del suo carattere iniziano ad emergere con maggiore evidenza, e ne condizionano profondamente le azioni. A 2.1.1 Lucio dichiara di essere curioso – “accecato dal desiderio di conoscere” dice lui. Il suo non è l’insaziabile “desiderio di conoscenza” esaltato da Cicerone in Tusc. 1.44, una conoscenza diretta alle cose celesti e alla verità. Lucio stesso ci informa che ciò che lo attira non è il vero, ma lo strano e il meraviglioso: esattamente ciò che il prologo ha promesso al lettore all’inizio del romanzo, annunciando al lettore un racconto dai caratteri esotici, pieno di metamorfosi, e capace di stupire.
Il lettore e Lucio, dunque, sono alla ricerca delle stesse cose, storie straordinarie: e proprio per questo è tanto più interessante vedere l’effetto che la strana e meravigliosa storia di magia raccontata da Aristomene ha sul protagonista. È anche a causa della durevole impressione che questa storia ha esercitato su di lui che il giorno dopo Lucio, passeggiando per Ipata, crede di essere immerso in un mondo magico, dove nulla è ciò che sembra, ma tutto è il risultato di qualche metamorfosi magica (II 1, 2-2, 1):
…era proprio in questa città che si era svolta la storia del mio ottimo compagno di viaggio Aristomene: perciò, reso profondamente irrequieto dai miei desideri e dalle mie aspirazioni, osservavo ogni cosa con gran curiosità. Ero convinto che tutto ciò che vedevo in quella città fosse qualcos’altro, che tutto avesse assunto un altro aspetto a causa di qualche formula malefica: e così i sassi su cui inciampavo erano esseri umani fatti pietra, gli uccelli che udivo uomini coperti di piume, gli alberi attorno alle mura della città altri uomini rivestiti di foglie, e l’acqua delle fontane corpi umani in forma liquida… E anche senza aver trovato alcun segno né traccia alcuna di ciò per cui smaniavo, continuavo a vagare qua e là come stordito, anzi inebetito per il mio desiderio ossessivo.
La suggestione è tale che Lucio non si lascia scoraggiare nemmeno dal confronto con una realtà che, nonostante tutto, non pare avere alcunché di magico. E così, in un dialogo con una lontana parente incontrata per caso Lucio confessa di essere sempre stato curioso (2.6.1) e dichiara qual è il suo scopo ultimo: “saziarsi l’animo di storie fantastiche”(2.6.5). È facile connettere quest’affermazione anche al programma letterario del romanzo, che in fondo non è altro che il resoconto delle avventure di Lucio e delle storie da lui vissute e ascoltate; e ai desideri del lettore stesso, che a questo punto – se sta continuando a leggere – non può non aver accettato il progetto narrativo annunciato dal prologo e confermato dalla storia di Aristomene: un racconto stupefacente, fondato sul soprannaturale e sul meraviglioso.
5. Lucio come narratore
Abbiamo visto all’inizio come il teatro fosse considerato una forma letteraria particolarmente capace di coinvolgere emotivamente il pubblico; questo anche e soprattutto perché, rispetto alla semplice lettura di un testo scritto, l’esperienza di assistere ad uno spettacolo teatrale sollecita gli spettatori in modo più completo – potremmo dire multimediale. Chi siede in teatro riceve un messaggio complesso composto da testo, recitazione, azione scenica, allestimento scenografico; Seneca coglie bene questa particolarità quando spiega a Lucilio che “le arti sceniche sono quelle che tendono al piacere degli occhi e delle orecchie” (Epist. 88.22).
Lucio tende più volte a dare un carattere teatrale al proprio racconto; il brano più esplicito è all’inizio del libro 10 (10.2.4):
E adesso, carissimo lettore, sappi che quella che stai leggendo non è una commedia ma una tragedia.
La storia di Lucio è un libro particolare, che si deve non solo leggere ma anche vedere e ascoltare: un libro che in certo modo ricrea l’esperienza multimediale di trovarsi a teatro. Qui basterà notare l’uso frequente di deittici e apostrofi al lettore che hanno lo scopo di accentuare l’euidentia del racconto, stimolando la phantasia, l’immaginazione del pubblico. Il narratore spesso esorta il lettore a ‘vedere’ ciò che viene raccontato; faccio solo tre esempi tra i tanti:
- 7.13.2 pompam cerneres… et hercules memorandum spectamen;
- 8.17.3 cerneres… spectaculum;
- 8.28.1 specta denique.
Il romanzo è dunque frequentemente caratterizzato come un racconto particolarmente coinvolgente, che sollecita l’immaginazione del lettore tanto intensamente da venire non solo letto o ascoltato ma anche ‘visto’: si ha come l’impressione di assistere in prima persona e di partecipare agli eventi narrati, un po’ come succede a teatro. È uno spettacolo di tipo un po’ particolare: Lucio è soprattutto narratore di se stesso, la trama della rappresentazione da lui messa in scena è la sua vita. Se il pubblico si lascia prendere dall’illusione narrativa, è soprattutto con lui che finisce per identificarsi.
6. Lucio e il suo lettore
Un corollario di questo processo di identificazione è che il lettore assume la stessa prospettiva limitata di Lucio: vede e capisce ciò che Lucio vede e capisce, ma ciò che Lucio non sa o non comprende rimane tendenzialmente oscuro anche per lui. Vediamo questo principio all’opera in vari punti importanti. L’ampia e letterariamente sofisticata storia di Amore e Psiche è giustamente considerata una sorta di mise en abyme, una riproduzione in scala ridottadel romanzo che la contiene, dato che molti elementi importanti per la storia di Lucio giocano un ruolo chiave anche in Amore e Psiche (tanto per fare due esempi, il motivo della curiosità del personaggio principale e quello della salvezza assicurata dall’intervento divino). Tuttavia, non è facile individuare parallelismi più puntuali tra le vicende di Psiche e quelle di Lucio: le corrispondenze evidentemente ci sono, ma altrettanto evidentemente sono difficili da precisare nei dettagli minuti.
La conclusione più saggia che si può trarre da questo stato di cose è che mantenere un certo grado di incertezza e di indeterminazione ha un suo valore dal punto di vista narrativo: se fosse troppo facile leggere il futuro di Lucio nella storia di Psiche, se la speranza di salvezza si trasformasse troppo facilmente nell’attesa di un evento certo e scontato, il pathos del racconto non potrebbe che soffrirne.
Qui come altrove, l’atteggiamento frettoloso e irriflessivo di Lucio aiuta a sviare l’attenzione del lettore da ciò che deve rimanere, se non nascosto, almeno incerto: Lucio non capisce affatto che si tratta di un racconto lo riguarda personalmente e avrebbe molto da insegnargli, e Amore e Psiche rimane per lui nulla più che una “bella storiella” raccontata da una vecchia avvinazzata e fuori di senno (VI 25, 1). Ancora una volta, il lettore è incoraggiato a vedere le cose nella stessa prospettiva di Lucio. Certo, potrebbe tentare di sottrarsi alla sua influenza e fermarsi ad esempio a riflettere sulla curiositas che accomuna Lucio e Psiche. Per farlo deve però resistere alla tentazione di lasciarsi prendere dagli eventi che incalzano senza pausa, e dall’arrivo inatteso della banda di ladroni: no, né Lucio né Apuleio gli facilitano questo compito in alcun modo.
7. Occhi curiosi
Si può dire, in sostanza, che il romanzo fa di tutto perché il lettore finisca per assomigliare a Lucio e a provare la sua stessa curiosità, che come si è detto è in fondo la migliore disposizione d’animo per recepire una storia. È proprio la curiosità di Lucio e di altri personaggi che permette a noi stessi, lettori esterni, di conoscere le vicende raccontate nelle Metamorfosi. Per fare solo un esempio, è attraverso gli “occhi curiosi” di Lucio che possiamo assistere rapiti allo spettacolo che si svolge nel teatro di Corinto a 10.29.3.
D’altro canto, ci sono effetti collaterali potenzialmente sgraditi: pare che la curiositas metta anche in condizione di diventare una storia. Questa possibilità di scambio di ruoli caratterizza la vicenda intera di Lucio, ed è cristallizzata nel profetico gruppo statuario di Atteone descritto nel secondo libro: proprio a causa dello “sguardo curioso” con cui contempla le grazie della dea Diana, Atteone è condannato a una metamorfosi animale e quindi a divenire il protagonista di un famoso episodio mitico.
La curiosità di Lucio e altri personaggi non è mai esplicitamente condannata nel romanzo. È soltanto nella prospettiva filosofico/religiosa della storia di Amore e Psiche e dell’ultimo libro che essa è costantemente caratterizzata come una qualità negativa.
Nel capitolo 23 dell’ultimo libro per la prima e unica volta la curiositàè attribuita esplicitamente al lettore, che vorrebbe sapere di più sui riti di iniziazione isiaca ai quali Lucio si è sottoposto. Questo discutibile desiderio di conoscere dettagli coperti dal segreto misterico è anche accompagnato da uno stato d’animo di ansietà:
Forse, mio attento lettore, sarai ansioso di chiedermi ciò che è stato fatto e detto dopo di allora: te lo direi se dirlo fosse lecito, e se fosse lecito saperlo tu lo verresti a sapere. Tuttavia le tue orecchie e la mia lingua si macchierebbero di una colpa altrettanto grave, questa per la sua sacrilega mancanza di autocontrollo e quelle per la loro temeraria curiosità. Tuttavia, dato che sei forse inquieto per un desiderio veramente religioso, non voglio tormentarti e tenerti in ansia troppo a lungo. Ascolta dunque, ma con fede, perché ciò che sto per dirti è la verità.
Quello che viene descritto è un turbamento emotivo tipico anche di Lucio, e accompagna più di una volta il suo desiderio di conoscere. Lucio è costantemente desideroso di conoscere, e questo desiderio è per lui fonte di ansia.
Quasi alla fine del romanzo, la curiosità e l’ansia di sapere segnano quindi il culmine di un percorso costante di identificazione tra il narratore e il suo pubblico. Il contesto misterico sembra però imporre un maggiore controllo e una maggiore riflessività: non è più lecito voler “sapere tutto, o almeno il più possibile”, come Lucio all’inizio del romanzo(1.2.6); ci sono dei limiti che non si possono oltrepassare e cose che non a tutti è lecito conoscere; il desiderio di conoscenza è diretto verso la verità piuttosto che verso “cose straordinarie e meravigliose”(2.1.1); ciò che deriva dalla conoscenza è la fede e non il semplice stupore promesso dal prologo e così spesso provato da Lucio e altri personaggi.
L’osservanza del segreto misterico non conduce ad una completa reticenza del narratore: si tratterebbe di una strategia narrativa fallimentare (il “non raccontare”) che del resto il romanzo non ha mai adottato prima. In poche righe Lucio ci descrive l’iniziazione in linea molto generale, facendo riferimento a quelli che erano quasi certamente elementi universalmente noti delle iniziazioni misteriche, egizie e non. Il breve resoconto non può certo soddisfare completamente la “ansiosa” curiosità del lettore su “ciò che è stato fatto e detto”: ciononostante, Lucio vuol dare l’impressione di averlo messo a parte di importanti segreti, e lo invita a mantenere un complice silenzio. Tutto questo ha evidentemente lo scopo di far sentire il lettore ai margini ma non proprio all’esterno di un circolo esclusivo, e di instillargli allo stesso tempo il desiderio di farne parte fino in fondo e di saperne di più; le informazioni fornite solleticano la sua curiosità senza soddisfarla completamente. Proprio come poco prima aveva fatto un sacerdote di Iside con Lucio stesso, in un brano che ora non staremo a leggere.
Ciò che è importante è che anche alla fine del romanzo continuano ad operare strategie narrative volte al coinvolgimento del lettore, che fanno perno sulle sue emozioni e la sua curiosità. In qualunque cosa Lucio finisca per essere invischiato, il lettore attento non può che seguirlo da vicino.