2.2 Il dativo di possesso
L’italiano, per indicare il possesso di qualcosa, usa normalmente verbi transitivi come “avere” o “possedere” accompagnati dalla cosa posseduta in funzione di complemento oggetto. Anche in latino non c’è nulla di intrinsecamente sbagliato nel dire Lucius habet servum o Lucius habet agrum (“Lucio ha un servo”, “Lucio ha un campo”); tuttavia è molto comune un’altra struttura che mette in rilievo, e quindi in nominativo, non il possessore ma la cosa posseduta, mentre il possessore va in dativo; il verbo non è infine habeo, ma sum. Le due brevi frasi di cui sopra diventano quindi Lucio est servus e Lucio est ager. Schematicamente:
Italiano | Latino | ||
Possessore | io (soggetto) | ⬄ | mihi (dativo) |
Verbo | ho | ⬄ | est |
Cosa posseduta | un libro (compl. oggetto) | ⬄ | liber (soggetto) |
Come al solito, l’ordine delle parole è piuttosto libero: mihi est liber, liber mihi est, mihi liber est, liber est mihi, est mihi liber, est liber mihi sono tutte variazioni possibili.
Naturalmente, traducendo dal latino all’italiano, si dovranno evitare trasposizioni pedestri come “a Lucio è un servo” e “a Lucio è un libro”, e usare il modo idiomatico italiano per indicare il possesso: “Lucio ha un servo” e “Lucio ha un libro”.
Il dativo di possesso viene usato in latino anche per le espressioni corrispondenti a “mi chiamo Lucio”, “il nome del mio amico è Lucio”, “mio padre ha nome Lucio”, e così via. Queste brevi frasi diventano, seguendo la struttura del dativo di possesso, mihi nomen est Lucius, amico meo nomen est Lucius, patri meo nomen est Lucius. In realtà il nome proprio può essere concordato con nomen come nelle frasi di cui sopra (e quindi essere in nominativo) o anche con il “possessore” del nome, e quindi essere in dativo: mihi nomen est Lucio, amico meo nomen est Lucio, patri meo nomen est Lucio